Bellinzonese

Scavi archeologici a Claro: in balia del Cantone per 2 anni

L’esperienza vissuta da un imprenditore che lamenta danni finanziari a causa dello stop al cantiere privato ancora in attesa di partire

Il capannone posato dal Cantone per effettuare le ricerche
19 novembre 2020
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Alt, cantiere fermo per scavi archeologici. È l’incubo di chi investe nel mattone e si ritrova a dover mettere in stand-by i lavori (o una parte di essi) per un periodo spesso ignoto, accumulando ritardi che rischiano di creare difficoltà a privati e imprenditori im procinto di edificare, sia per il credito di costruzione stipulato e gli interessi che esso genera, sia perché gli interessati a eventuali acquisti o affitti dell’immobile scappano di fronte all’incertezza dei tempi. Come prevede l’articolo 35 della Legge sulla protezione dei beni culturali, prima dell'avvio del cantiere il Cantone ha il diritto di effettuare indagini nel sottosuolo nel caso in cui si possa presupporre la presenza di ritrovamenti archeologici. Lo sa bene il promotore di un progetto immobiliare a Claro che, dopo aver ricevuto la licenza edilizia a ottobre 2018 per la costruzione di sei case unifamiliari, è ancora in attesa di poter iniziare. Il motivo è da ricondurre agli scavi archeologici tuttora in corso, di cui l’Ufficio cantonale dei beni culturali (Ubc) ha riferito settimana scorsa tramite comunicato stampa.

Fermo cantiere per sei mesi deciso dal governo 

Come reso noto alla ‘Regione’, l’imprenditore rappresentato dall’avvocato Filippo Gianoni ha insistito a lungo con i funzionari cantonali preposti al fine di trovare un accordo relativo a rimborsi e tempistiche. Riassumendo la vicenda, il tutto ha inizio quando nella primavera 2019 in questi due mappali iscritti a Piano regolatore come ‘Zona d'interesse archeologico’ vengono effettuati dal Cantone sondaggi nel terreno che rivelano la presenza di una tomba. Da qui la richiesta dell’Ubc di sospendere l'avvio del cantiere: la decisione è sancita da un decreto del Consiglio di Stato datato 19 giugno 2019 che impone ai proprietari dei fondi di “tollerare lo scavo archeologico per la durata di 6 mesi”, ovvero fino a dicembre 2019. Ma poi nulla si muove e per la durata di circa un anno l’Ubc comunica di non poter dare il via allo scavo archeologico poiché il promotore non ha deliberato il mandato all’impresa di scavo (per la prima parte di 30 centimetri di profondità) e alla direzione lavori e non ha presentato il suo piano dei lavori. Delibera che, di fatto, al momento non è ancora avvenuta. «Nonostante io l’abbia chiesto più volte, nessuno mi ha mostrato l’articolo di legge secondo cui io debba incaricare l’impresa d'iniziare i lavori in modo da predisporre l’installazione di cantiere che andrebbe a favore degli archeologi. Per il privato si tratta di costi supplementari», spiega da noi interpellato il promotore del progetto edilizio. Il quale, con foto scattate tra novembre 2019 e febbraio 2020, ha inoltre segnalato all’Ubc che la prima tomba scoperta risulta abbandonata alle intemperie “nella piena incuria e nel disinteresse”.

Un accordo per iniziare gli scavi archeologici

In questi mesi di stallo il legale del proprietario scrive ripetutamente all’Ubc chiedendo l’accelerazione dei tempi e presenta anche un’istanza per atti materiali. Nel frattempo viene fatto notare che, a causa dell’allungarsi dei tempi, un interessato all’acquisto della casa ha rinunciato. Il Cantone dal canto suo invita l’imprenditore a iniziare il cantiere in un’area non toccata dai previsti scavi archeologici, ma lui risponde che ciò non è possibile poiché fondamenta e autorimessa devono essere realizzate con uno scavo centrale non compatibile con i rilievi archeologici (anche perché nel frattempo il Cantone ha posato un capannone sul terreno). Dopo vari scambi di corrispondenza e sopralluoghi, le parti trovano un accordo: in un’area del cantiere il Servizio archeologia avvierà le indagini il 15 luglio 2020 per la durata di 12 settimane e informerà il privato ogni 15 giorni sull’avanzamento dei lavori.

'Gestione dilettantistica'

Comunicazioni che, ci viene spiegato, non vengono effettuate. Arriva invece dall'Ubc una sorpresa a settembre, poi meglio precisata in una lettera a ottobre: l’indagine del terreno si prospetta più lunga del previsto e proseguirà ancora durante l'inverno per poi concludersi il 28 febbraio 2021 “fatti salvi eventuali blocchi dovuti al Covid-19”. Nell’impossibilità di avviare la parte edilizia del cantiere fino ad allora, l’avvocato Gianoni in una lettera all’Ubc definisce tale tempistica “non più compatibile con il principio della proporzionalità dei provvedimenti amministrativi, ritenuto altresì che l’obbligo di tollerare lo scavo per 6 mesi è scaduto il 20 dicembre 2019 e che la mora è imputabile solo alla vostra gestione ‘dilettantistica’ di questo oggetto”. Da qui la richiesta di addebitare tutti i costi al Cantone. 

Il nocciolo della questione sono infatti i costi. I primi 30 centimetri di terreno devono essere tolti dal proprietario (con un costo maggiore rispetto a un normale scavo da cantiere a causa della minore resa) mentre il Cantone paga il resto dello scavo archeologico. Ma chi rimborsa i danni? Leggendo il Codice civile svizzero sembrerebbe chiaro: come dice il capoverso 2 dell’articolo 724 relativo a oggetti di pregio scientifico trovati nel terreno, “Il proprietario nel cui fondo sono scoperti è tenuto a permetterne gli scavi, mediante il risarcimento dei danni che gliene derivano”. Non viene però precisato di che danni si tratti, come invece succede nella Legge sulla protezione dei beni culturali. All’articolo 39 cap. 2 viene precisato che i danni materiali causati dallo scavo devono essere risarciti, mentre altri danni devono essere indennizzati “se l’eventualità dello scavo non era prevedibile”. Sembrerebbe dunque che chi acquista e porta avanti un progetto su un sedime che a Piano regolatore è inserito in una zona d'interesse archeologico, come nel caso in questione, dev’essere pronto a pagare di tasca propria le spese aggiuntive. 

Incarichi a ditte vallesane

La stessa legge prevede inoltre che “se importanti interessi archeologici lo esigono, il Cantone può accordare a terzi concessioni per tempo limitato e sito limitato”. In alcuni casi (ad esempio in un altro cantiere privato di Claro e per i ritrovamenti durante la realizzazione del sottopasso Ffs a Muralto) il Dt ha deliberato alla società vallesana Aria Investigations archéologiques Sa una parte dei lavori. Nel 2019 gli importi che si evincono dalla lista delle commesse pubbliche ammontano in totale a 645mila franchi per tre prestazioni. Come anche precisato dal comunicato di settimana scorsa, la società che sta lavorando nel cantiere in questione si chiama Insitu Sa, è anch'essa vallesana e, stando a nostre informazioni, fino a poco tempo fa i furgoni utilizzati avevano i loghi di Aria Sa, sostituiti proprio negli ultimi giorni. Alla luce di commesse con importi così elevati il proprietario del terreno si domanda se, al di là dei danni da lui subiti, vi sia proporzionalità tra il valore di quello che viene speso e quello che viene trovato, ritenuto peraltro che le tombe trovate fossero vuote.

Bognovini (Ssic): ‘Serve più sensibilità da parte del Cantone’

Il nodo dei costi è centrale anche nel discorso generale che facciamo con Nicola Bagnovini, direttore della Società svizzera impresari costruttori (Ssic) sezione Ticino. «Noi in quanto impresari e imprenditori dimostriamo sensibilità e senso di responsabilità affinché, in caso di ritrovamenti importanti, si possa far luce e raccogliere correttamente il materiale. Bisognerebbe rendere più sensibile anche l’autorità statale in modo che possa sostenere i privati», spiega. «Considerato l’interesse pubblico dei reperti archeologici, sarebbe sensato indennizzare i privati per quanto riguarda il danno subito dal fermo cantiere che, a dipendenza dei casi, può andare anche alla lunga». Da noi contattato per avere chiarimenti in merito, l’Ufficio dei beni culturali ci ha fatto sapere tramite il Servizio comunicazione del Dipartimento del territorio (Dt) di essere sotto pressione in questo periodo e di non riuscire a rispondere alle nostre domande poiché “deve concentrare i suoi sforzi sulle attività prioritarie”.

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