Ticino

La crisi di panico all'aeroporto che gli cambia la vita

Manager del Luganese che prendeva 40 voli l'anno racconta come l'ansia l'ha intrappolato e come ne è uscito. Colpisce fino al 30% di chi vive in città

3 maggio 2018
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Erano le feste natalizie del 2010 quando Romeo Bressi, diretto negli Stati Uniti, rimane tre giorni bloccato all’aeroporto di Francoforte. Mentre forti nevicate paralizzano il traffico aereo, a immobilizzare Bressi è un inaspettato panico, accompagnato da tachicardia. Scoprirà più tardi che era un attacco di panico. Bressi si fa coraggio e prosegue il suo viaggio. Arrivato negli Usa va dal medico, che gli prescrive ansiolitici. «Stavo talmente male che sarei tornato subito a casa, ma ero in compagnia e sono rimasto un mese. È stato angosciante, vivevo in uno stato di paura costante che mi faceva evitare i luoghi affollati, i mezzi di trasporto, prendere voli interni. È stata una tortura. Non sapevo cosa fosse l’ansia, pensavo di avere un problema fisico», spiega. Il 38enne – titolare di un’azienda di informatica nel Luganese che si occupa di sistemi di sicurezza informatici – viaggiava spesso, fino a 40 voli l’anno per lavoro. Non aveva mai avuto paura di nulla e non ama avere dei limiti.

«Gli attacchi di panico sono molto diffusi, colpiscono maggiormente chi vive in città e sempre più giovanissimi, fino al 35% degli adolescenti», spiega lo psichiatra Michele Mattia. Un male insidioso e sottovalutato che attraversa la nostra società. Quasi una persona su tre lo incrocia. Conoscerlo è il primo passo per farcela, come ci spiega il presidente dell’Associazione della Svizzera italiana per i disturbi ansiosi, depressivi e ossessivo-compulsivi. Chi scappa è perduto! È la regola che ogni terapeuta insegna sull’attacco di panico: bisogna affrontare il ‘mostro’ e farselo amico. Evitarlo, lo fa diventare più forte. Subentra la paura della paura che divora pezzi di vita fino a confinarti in casa. 

Rientrato in Ticino Bressi, fa le analisi e il medico lo invia da uno psichiatra. Inizia così il suo pellegrinaggio da un esperto all’altro alla ricerca di una soluzione. «Non volevo prendere farmaci e ho lasciato lo psichiatra. Mi sono documentato, volevo capire che cosa fossero questi attacchi di panico, come funzionavano, perché erano apparsi nella mia vita e mi colpivano anche mentre ero tranquillamente sdraiato sul divano a guardare la televisione». Nella sua ricerca si imbatte nella terapia cognitiva comportamentale, cambia tre psicoterapisti, prima di trovare la professionista con cui si trova a suo agio. «Abbiamo rielaborato determinate esperienze dell’infanzia e pensieri tossici che generavano emozioni negative. Ho accettato anche di prendere dei farmaci».

In aggiunta sperimenta due tecniche che lo aiuteranno: la tecnica psicoterapeutica Emdr, basata sul movimento degli occhi (serve a far rielaborare eventi più o meno traumatici, usata in primo luogo per il disturbo da stress post-traumatico, ndr) e la pratica meditativa del ‘mindfulness’ (volta a portare l'attenzione in maniera non giudicante verso il momento presente, ndr). L’attacco di panico lo obbliga a iniziare un viaggio dentro se stesso. «Ho capito che una gestione malsana dello stress mi crea un accumulo di ansia. Se lo trascuro, genera attacchi di panico. Ho imparato a dire di no, vivo il presente e faccio una cosa alla volta, non più 4 o 5 azioni insieme. Ho smesso di essere multitasking e vivo bene». Gli attacchi sono un lontano ricordo. Oggi modera una volta al mese per l’associazione Asi-Adoc un gruppo di autoaiuto. «Tanti soffrono in silenzio mentre nei gruppi possono parlarne senza venire giudicati», conclude.

 

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