Ticino

Ex funzionario Dss, nero su bianco i motivi della condanna

Il Tribunale penale cantonale ha intimato la scorsa settimana alle parti la sentenza. Si attendono anche i prossimi passi del governo: atti parlamentari pendenti

7 maggio 2019
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Ora sono anche nero su bianco le motivazioni del verdetto di condanna pronunciato a Lugano il 29 gennaio dal giudice Marco Villa, presidente della Corte delle assise criminali, nei confronti del 59enne ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità riconosciuto colpevole di coazione sessuale. La sentenza, oltre cento pagine, è stata intimata dal Tribunale penale cantonale la settimana scorsa alle parti. Ovvero all’imputato, alla procuratrice pubblica Chiara Borelli, titolare dell’inchiesta sfociata nel processo e alle vittime costituitesi accusatrici private: tre giovani donne, di cui una all’epoca dei fatti, una quindicina di anni fa, era appena maggiorenne. Due l’allora operatore del Dss, che per conto dello Stato si occupava di politiche giovanili, le aveva conosciute nell’ambito dei lavori di una piattaforma, aperta ai giovani, della quale era coordinatore/segretario. La terza vittima era invece stagista nello stesso ufficio del Dipartimento alle cui dipendenze era l’imputato. La pp Borelli lo aveva rinviato a giudizio per violenza carnale e coazione sessuale e chiesto, al termine della requisitoria, quattro anni da espiare. La Corte ha riconosciuto la coazione, ma non la violenza, infliggendo all’uomo una pena pecuniaria di 120 aliquote, ciascuna da 60 franchi, posta al beneficio della condizionale.

Dopo la lettura del verdetto di primo grado hanno annunciato appello non solo il 59enne che, difeso dall’avvocato Niccolò Giovanettina, respinge le accuse, ma anche la pp Borelli e due delle tre accusatrici private patrocinate dall’avvocato Carlo Borradori. Un passo per riservarsi il diritto di ricorrere, una volta lette le motivazioni scritte, alla Corte di appello e revisione penale. «Per quel che concerne le mie assistite, esamineremo nel dettaglio la sentenza e poi decideremo come procedere ulteriormente», afferma Borradori, da noi interpellato. Ma il caso del 59enne, licenziato dal governo alcuni giorni prima dell’apertura del processo, ha innescato anche atti parlamentari, inoltrati alla luce di quanto dichiarato in aula dal giudice Villa durante la lettura del dispositivo: nel 2005 una delle vittime “aveva chiesto aiuto a un alto funzionario, il quale non ha preso provvedimenti affinché l’imputato non potesse più ripetere certi comportamenti”. Alle due interpellanze – di Fiorenzo Dadò e Maurizio Agustoni (Ppd) la prima, di Dadò e Boris Bignasca (Lega) la seconda – che chiedevano di esplicitare le responsabilità, il governo in febbraio davanti al Gran Consiglio, per voce dell’allora presidente Claudio Zali, aveva rimandato le considerazioni di dettaglio a quando sarebbero stati noti motivazioni della sentenza e risultati dell’inchiesta amministrativa. In dirittura d’arrivo invece le risposte alle deputate Ps Gina La Mantia e Tatiana Lurati. Nella loro interrogazione affrontano il tema in modo più generico, sollecitando fra l’altro una campagna di sensibilizzazione ad hoc.

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