La Via Lattea

Trevano, c'era una volta un castello

In attesa del Primo Movimento, il 17esimo 'pellegrinaggio musicale' approda al parco di Trevano dove Nadir Sutter ricostruirà la storia di un tesoro perduto

12 settembre 2020
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Dopo il prologo del 28 agosto al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto, con il pianista francese Jean-Philippe Collard calato sulle ‘Barcarolles’ di Gabriel Fauré, centro tematico della 17esima edizione, La Via Lattea, pellegrinaggio musicale con incursioni nelle altre arti, si appresta al suo Primo Movimento. Tutto accadrà nell’area in cui fino al 31 ottobre del 1961, quando una carica di tritolo lo ridusse in macerie, sorgeva il Castello di Trevano o ‘Château de la musique’, voluto dal barone Pavel von Derwies e diventato, dalla posa della prima pietra nel 1871, centro musicale d’eccellenza, luogo di opere, concerti, prime assolute. Un centro in cui spiccavano un teatro privato, un’orchestra privata (da 60 a 100 elementi) e tanta arte (lo Spartaco di Vincenzo Vela, un'opera su tutte, a dominare lo scalone d’onore). Il tutto inserito nel ricco e sconfinato omonimo parco.


Il Castello di Trevano o ‘Château de la musique’

La proposta strettamente musicale – sabato 12 settembre dalle 15 alle 22 al Campus della Supsi a Canobbio, domenica in replica – vedrà 'Ada', l’Arte dell’Ascolto, nel concerto-collage alla scoperta di Fauré insieme al Trio K (Manuel Zurria al flauto, Francesco Dillon al violoncello, Emanuele Torquati al pianoforte). E poi due omaggi affidati alla violinista veneta Angelica Faccani accompagnata dalla giovane e pluripremiata arpista ticinese Elisa Netzer: il primo al violinista tedesco Arthur Rösel, Konzertmeister a Trevano ai tempi del suo fondatore, il secondo a Eugène Ysaÿe, violinista e direttore d’orchestra belga amico intimo di Fauré. Nelle varie stazioni, anche la selezione dei 45 Vocalises di Fauré eseguiti dagli studenti del Conservatorio della Svizzera italiana in un’inedita installazione sonora per voci, arpe e alberi.

La ricostruzione storica del luogo – 'Il Castello di Trevano per immagini', incontro che si tiene nell'Aula magna – è affidata a Nadir Sutter, vicepresidente della Società Svizzera per la Protezione dei Beni Culturali, che del castello di Trevano é il più fedele depositario della storia.

Nadir Sutter, ci parla dell’incontro di sabato?

Si tratta di un’occasione per fare un giro in un posto che poca gente conosce e scoprire molte cose interessanti che altrimenti non si vedrebbero. Io credo siano in pochissimi ad aver dato un’occhiata a quella che veniva chiamata ‘vacherie’, pochi coloro che sanno che esistono una nevera e un caseificio a due passi dalla città, e poco distante un vigneto che racconta un capitolo della storia del Merlot in Ticino.

Come nasce il suo interesse per il Castello di Trevano?

A metà anni Ottanta ero a Zurigo a studiare e mi capitò di visitare un castello privato nel Canton Turgovia sorto nello nello stesso periodo di quello di Trevano. In quell’occasione mi chiesi a che punto fossero le ricerche sul castello ticinese. Contattai il direttore d'orchestra e promotore di molte iniziative culturali-musicali in Ticino, il Maestro Bruno Amaducci, che aveva iniziato una collaborazione con il musicologo americano Irving Lowens. La morte di Lowens e i successivi problemi di diritti avevano fermato tutto. Mi ci appassionai. Quando tornai in Ticino, oltrepassai il cancello e vi trovai guide meravigliose, come l’ultimo castellano, il caro ‘Sciur maestro’ Angelo Frigerio che del castello di Trevano, in quanto incaricato dal Cantone per il settore agricolo, era stato l'ultimo abitante. O Angelo Brocca, grande conoscitore del luganese e conosciuto raccoglitore di testimonianze in forma di illustrazioni e documenti, che ancora aveva le testimonianze dei costruttori, per esempio, delle grotte in tufo. Così come da Romano Borioli avevo ricevuto la ricostruzione del funzionamento della centrale del gas. Da loro, e altri cari amici, in particolare dai signori Mario e Giovanna Bernasconi, autentici salvatori di molti elementi del castello recuperati prima della sua demolizione, ebbi la descrizione di quello che avevano vissuto, le storie, gli aneddoti, i piccoli episodi di colore che magari con la musica avevano meno a che vedere, ma che avrebbero contribuito al mio lavoro di ricerca. Mi rincresce di non avere, qui, lo spazio per un sentito grazie a tutti questi cari amici e esperti di ogni settore che mi hanno permesso di capire meglio lo splendore di questa residenza.

Una ricerca è andata ben oltre il Ticino…

Sì, ho raccolto informazioni a Lugano, a Nizza nella residenza Valrose, a San Pietroburgo e parzialmente in Ucraina. Ho voluto approfondire il lato russo, cosa che Lowens non aveva fatto, prediligendo invece quello americano legato al successivo proprietario, Louis Lombard. Le ricerche a Mosca mi hanno consentito di approfondire altri lati di Pavel von Derwies, che era una specie di Mark Zuckerberg cui si deve, tra le molte cose, anche la costruzione a Mosca dell’Ospedale di San Vladimir, il primo per i bambini di Russia, del quale egli andava fiero tanto da farsi seppellire a pochi metri da esso. Von Derwies fu il proprietario di linee ferroviarie tra le più redditizie e i suoi operai, il giorno dell'arrivo della salma alla stazione, si vollero sostituire ai cavalli per trainarne il feretro fino al definitivo luogo di sepoltura, presso la chiesetta dell'ospedale da lui realizzato.

Lei ha definito l’abbattimento del castello di Trevano “uno degli errori più amari della storia ticinese”…

Certamente. Era una delle residenze più belle della Svizzera. Nel 1961, quando fu distrutto, forse non si trovava in perfette condizioni come ai tempi del barone, ma ho fotografie che ne dimostrano il buono stato, tanto che vi abitava  Angelo Frigerio. Fu presa una decisione scellerata, ufficialmente in nome della necessità di costruire delle scuole. Ma in altri cantoni, cito Lucerna e Turgovia, accanto a residenze di valore paesaggistico uguale, si sono comunque realizzate scuole scostandosi di poche centinaia di metri. A Lugano, una soluzione di questo tipo, nella zona delle attuali scuole medie, era perfettamente realizzabile. In questo senso, l’errore non è perdonabile.

Cos’ha perso il Ticino rinunciando a questo ‘Château de la musique’?

Avevamo qui qualcosa di spettacolare che è stato poco capito ed è un peccato. Preso atto che non esiste più, se comunque tocchiamo con mano la fontana più grande che esiste nel Ticino con la relativa statua del Nettuno, se pensiamo al primo e unico acquario di grandi dimensioni del Ticino, o vediamo il Berger flûteur di Coysevox con un attimo di curiosità chiedendoci chi l’ha fatto e scoprendo che si trattava di una delle statue del castello di Marly, la residenza privata del Re Sole, ci rendiamo conto che avevamo un pezzo di storia del mondo. In questo luogo sono transitati pittori, scultori, musicisti. E cosa rimane di questo ben di Dio culturale? Questo parco è cinquant’anni che attende un momento di rivalutazione. Ogni tanto facciamo un intervento qui e uno là, ma ogni giorno corriamo un rischio, perché nulla è mai stato sotto protezione.

Annovera, al contrario, nell’ambito delle “operazioni non sempre giustificabili, ma comprensibili” la conversione del parco in zona agricola…

In quel caso, non certo in quello dell’abbattimento, si parla degli anni della guerra, un momento storico in cui nessuno sapeva con certezza se il giorno dopo avrebbe mangiato.  Era in atto il piano Wahlen, il cui fine era quello di assicurare nel modo migliore possibile la sicurezza alimentare della Svizzera. Ecco che un parco all’inglese con al suo interno nulla di commestibile veniva ritenuto, tenendo conto dei tempi, meno utile di un frutteto o di un campo di mais. In questo senso, è facile dire “non si doveva”, “non si poteva”. C’è da capire.

Mi perdoni il momento gossip: nel caso del barone, lei scrive di “morte sotto certi versi misteriosa”. Ci può svelare il mistero?

Se ne sono sentite di tutti i colori. Ci sono almeno tre o quattro versioni. Quella che a me pare la più veritiera l’ho sentita in Russia, raccontata da una sua nipote. Derwies pare abbia cercato di salvare la figlia ammalata di tetano. Non voleva, si dice, accettare che per salvarla le si dovesse amputare una gamba, stupito dal fatto che con i mezzi economici di cui disponeva non si fosse in grado di trovare un dottore capace di salvarle la vita. E s’imbarca in un giro per mezza Europa cercando gli specialisti migliori, senza successo. Quando la figlia muore, si sente tremendamente colpevole e si toglie la vita, il giorno dopo. La versione del attacco cardiaco sarebbe l’escamotage per garantirgli la sepoltura cristiana.

Per concludere: cosa sarebbe oggi il castello di Trevano?

Dividerei la sua domanda in due risposte. La prima: sarebbe in primis un’attrazione turistica di prim’ordine e qualcosa di modulabile: teatro, sala concerti, museo, residenza per importanti ospiti di stato, luogo di conferenze, o se vogliamo, sede d'incontri ad alto livello, con teatro e sala da concerti in casa. La seconda risposta: sono sicuro che un parco di Trevano finalmente restituito al suo splendore sarebbe un’attrazione, una piccola Ballenberg di sicuro interesse rurale e culturale. Perché questo accada, ci vorrebbe un pensiero comune. Il vigneto, i rifacimenti di piccoli chalet svizzeri, la stalla, la nevera, il caseificio, la casa contadina: le diverse competenze, pur sotto un unico cappello, essendo proprietà del Cantone Ticino, sono un ostacolo e in politica quando si ragiona a compartimenti stagni non si arriva mai ad avere un vero sguardo d'insieme. Detto in parole povere, se io ho un francobollo, mi riferisco alla Masseria di Cornaredo, proprietà della città di Lugano, e lei la cartolina, il parco proprietà del Cantone Ticino, potranno essere anche un bellissimo francobollo e una bellissima cartolina, ma per scrivere a qualcuno è indispensabile che io e lei collaboriamo.


Nadir Sutter

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