Spettacoli

Il racconto personale e universale di Tindaro Granata

Per la rassegna Lac en plein air l'autore e attore proporrà il suo spettacolo ‘Antropolaroid’ che da dieci anni riprende la tradizione del cunto siciliano

Antropolaroid © Manuela Giusto
9 luglio 2021
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La rassegna Lac en plein air ospita, sabato 10 luglio alle 21, Tindaro Granata con il suo spettacolo, vincitore di numerosi riconoscimenti, ‘Antropolaroid’, una “fotografia umana” di una famiglia siciliana. Solo in scena, l’attore racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia, da cui anche allontanarsi. Informazioni e prevendita su www.luganolac.ch.

Tindaro Granata, sono dieci anni di ‘Antropolaroid’.

Il debutto è stato l’8 luglio del 2011, quindi proprio in questi giorni. Con questo spettacolo ho girato tantissime città, facendo più di 360 repliche, praticamente un anno della mia vita l’ho trascorso facendo ‘Antropolaroid’ e la trovo una cosa divertente, anche se detta così può sembrare stranissima.

La rappresentazione di Lugano avrà qualche particolarità?

Ho insegnato a 13 ragazzi della Scuola del Piccolo teatro di Milano la tecnica del racconto, del cunto siciliano, del narrare la propria storia, la storia della propria famiglia, della propria terra e in varie città mi porto nelle varie città mi porto alcuni di questi ragazzi. A Lugano verrà Emilia Tiburzi che racconterà il suo essere romana attraverso i suoi nonni e il suo amore per il cinema.

Una sorta di passaggio di testimone, da una “vecchia scuola” quale potrei essere io (ride, ndr) a un futuro di giovani artisti. Mi piace molto questa cosa perché io ho imparato la tecnica del cunto in campagna, stando con i miei nonni, con i vecchi del paese che raccontavano la storie della loro famiglia, delle loro origini. 

Una tecnica antica.

La differenza è che io non racconto i fatti del paese o della famiglia – che potrebbe essere di Lugano come siciliana, non ci sono confini geografici se non per il dialetto che è comunque molto comprensibile – in terza persona ma interpreto in prima persona tutti i personaggi. Questa è stata la fortuna dello spettacolo perché gli ha dato una caratteristica unica e mi fa piacere portare avanti tutta questa tradizione in un modo nuovo.

Perché è così importante il rapporto con la tradizione?

Perché il recupero della propria memoria storica porta a una consapevolezza di che uomo o donna tu possa essere. Frequento da tempo il Ticino e la vostra è una ‘Willensnation’, si è costituita grazie alla volontà dei cittadini ed è una cosa molto importante da ricordare. E la stessa cosa per ognuno di noi: se non riesci a recuperare la memoria che ti imprime la famiglia difficilmente sarai un buon cittadino, un buon abitante della società presente e futura. È quando si è persa la memoria storica delle nostre radici che ci sono state le grandi perdizioni mondiali: il fascismo è nato quando noi italiani ci siamo dimenticati chi siamo e da dove arriviamo e lo stesso per il nazismo, quando il popolo tedesco ha dimenticato di essere il frutto di mille rimescolamenti.

Bisogna però anche avere uno sguardo critico verso la propria storia.

C’è indubbiamente un aspetto non di giudizio critico ma di visione critica. La cosa secondo me si può fare in maniera naturale, mettendo in luce tutte le criticità che la mia origine mi ha dato. Parlo di mafia, ma lo spettacolo non è sulla mafia; parlo di donne assoggettate, ma lo spettacolo non è sulla soggezione delle donne e così via. Cerco di svelare la falsa coscienza che il mio popolo mi ha donato e questo è importante perché ti dà quello sguardo critico che permette di far venir fuori la natura autentica del racconto.

Quando critico le cose che fanno parte della mia storia e della mia terra, cerco sempre di farlo con ironia: lo spettacolo è più una commedia che un dramma, una commedia all’italiana in cui vengono elencati vizi e virtù di un popolo e di una famiglia che può essere siciliana come calabrese come veneta o luganese. Perché le cose di cui si parla sono temi universali: la voglia di riscatto, la voglia di superare sé stessi, di creare un futuro migliore, l’amore, cercare di raggiungere i propri sogni.

Chiuderei di nuovo con i dieci anni di ‘Antropolaroid’: che cosa è cambiato, nello spettacolo e in Tindaro Granata?

In questi dieci anni sono cresciuto con lo spettacolo e per me è diventata una cosa naturale, è come se accogliessi degli amici per parlare di casa mia. È una cosa molto bella perché diventa un rapporto molto intimo con gli spettatori, ci rende complici ed è veramente un grande privilegio.

La differenza più grande, rispetto agli inizi, è che io ero molto impaurito da questi personaggi che portavo in scena: temevo di non farli bene, temevo di essere frainteso. Adesso tutti i personaggi come mia zia Peppina invalida, la mia bisnonna che parla una lingua che non esiste più, tutti quanti vivono con me, ci gioco e mi diverto. E sento che anche il pubblico partecipa, come se aprissero delle porte all’interno delle loro storie.

 

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