La recensione

Venerdì Santo da Sainte Clotilde a Saint-Étienne du Mont

Osi e Coro Rsi in Collegiata. Poco convincenti i solisti di canto, ma non per colpa loro; bravo il coro, brava l’orchestra, bravissimo Diego Fasolis.

Diego Fasolis
18 aprile 2022
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La facciata tardorinascimentale della Collegiata, con il preannuncio del barocco nell’arco spezzato sopra il portone centrale, che quando è spalancato lascia veder dalla piazza la tela della Crocifissione nell’abside, la grande navata, dove l’ultimo restauro ha messo in mirabile equilibrio tre secoli di pitture e sculture, il falso transetto, palco dell’orchestra e del coro, sotto la cupola responsabile principale dei problemi acustici per esecutori e ascoltatori. Dopo due anni di astinenza è tornato a Bellinzona il Concerto del Venerdì Santo. I biglietti sono stati esauriti in poco tempo, anzi per il desiderio di eventi qualcuno deve aver sbagliato posto a giudicare da alcuni applausi fuori tempo partiti durante il concerto.

Diego Fasolis ha diretto l’Orchestra della Svizzera Italiana, il Coro della Radiotelevisione svizzera, la mezzosoprano Marie-Claude Chappuis, il baritono Riccardo Novaro nella Prière op. 20 di César Franck (1822-1890) e nel Requiem op. 9 di Maurice Duruflé (1902-1986). Due opere apparse a un secolo di distanza, ma concepite sulla Rive Gauche di Parigi in Sainte Clotilde e Saint-Étienne du Mont, due chiese unite da un chilometro di Boulevard Saint Germain.

Sante Clotilde è una chiesa neo-gotica costruita ex novo dal 1846 al 1857, un esempio tanto pacchiano d’imitazione dell’antico da essere radiata da ogni elenco dei monumenti d’arte di Parigi, ma dove nel 1859 Aristide Cavaillé-Coll vi costruisce un suo importante organo e César Franck ne diventa il titolare. La Prière è una pagina del 1860, dedicata a un amico scomparso: una meditazione trafitta da un misticismo e da una sensualità, ben assecondati dall’espressivo dell’organo romantico. La trascrizione per grande orchestra di Fabio Arnaboldi, è stata quasi una provocazione. Ha mostrato la superiorità timbrica degli strumenti dell’orchestra rispetto ai registri dell’organo che li imitano. Forse ha mostrato anche i limiti di questa preghiera di Franck.

Saint-Etienne du Mont ha una storia che affonda nell’alto medioevo. Il suo attuale edificio ha un interno che non si dimentica dopo una visita: le tre navate gotiche sono attraversate da un imponente jubé rinascimentale. Il grande organo, che è stato costruito nel 1636, conserva ancora la cassa originale. Le storia delle trasformazioni foniche che ha subito in tre secoli e mezzo è significativa come la storia degli organari di Francia. Dal 1930 fino alla morte titolare dell’organo sarà Maurice Duruflé, coadiuvato poi dalla moglie Marie-Madeleine Duruflé-Chevalier, altrettanto celebre del marito come interprete. I melomani ticinesi ricordano forse ancora il concerto che i coniugi Duruflé diedero al Festival Organistico di Magadino nel 1971.

Maurice Duruflé è stato un compositore molto parsimonioso. L’integrale della sua musica per organo sommata a quella vocale strumentale dura poco più di due ore. Il Requiem, pur privo dei clamori del Dies irae, è la sua composizione più lunga. Una musica per i defunti, alla quale viene quasi sempre riconosciuta una dolce serenità, alimentata dalle certezze dalla speranza cristiana. Leggo con piacere sul programma di sala il testo di Giovanni Gavazzeni: "La messa di suffragio per i defunti trovò rispondenza perfetta nel clima di una Francia uscita vincitrice dell’occupante nazista, ma dilaniata dalla guerra fra la Resistenza e i collaborazionisti; ancora segnata dal diffuso sentimento di vergogna per la disfatta del ’40 e desiderosa di coprire la vastità delle responsabilità anche nella persecuzione antisemita…" Vi aggiungo le perplessità dell’agnostico, cui non piace consolarsi della morte pensando di essere accolto da Dio, ma piuttosto pensare che la vita senza la morte sarebbe una cosa terribile.

Al recensore tocca anche dare le note. Poco convincenti mi sono sembrati i solisti di canto, e in parte li comprendo: val la pena di scomodarsi per brevi interventi solistici, che potrebbero essere svolti all’interno coro? Bravo il coro, con una dizione sempre chiara, che sa dar risalto al significato delle parole. Molto brava l’orchestra, capace di occupare col suono tutto lo spazio della chiesa e trafiggere le distorsioni acustiche. Bravissimo Diego Fasolis, preciso nel gesto e padrone sempre dell’orchestra e del coro, pertinente in tutte le scelte dinamiche.

Una gradita sorpresa anche il brano offerto fuori programma: il breve Requiem di Giacomo Puccini, composto nel 1905 per commemorare il quarto anniversario della morte di Verdi. Più delle sommesse parole del coro, risalta in questo lavoro l’intervento solistico della viola, che si stacca dall’orchestra. Così gli ultimi applausi di venerdì sono andati a Ivan Vukčevic, l’eccellente prima parte della nostra Orchestra.

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