Cinema

A proposito di Vin Diesel

Storia di Mark Sinclair (un tempo magro, asciutto e ingenuo), giovane appassionato di musica e di cinema che voleva diventare un rapper

La ‘prima’ a Roma, lo scorso 13 maggio
(Keystone)
26 maggio 2023
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Trent’anni fa Mark Sinclair, nome di battesimo di Vin Diesel, si aggira per provini nel tentativo disperato di diventare un attore vero. Di essere riconosciuto come tale. È questo il tema di ‘Multi-facial’ (1995), opera prima che di solito i registi compiono all’ultimo, quando ci si immagina abbastanza saggi da avere uno sguardo lucido su tutta la propria vita. Vin Diesel, invece, quella vita l’aveva appena vissuta, anzi la stava ancora vivendo, e già si sentiva pronto a metterla in scena, sfondando il confine tra realtà e finzione ancora prima di tracciarlo.

Vin Diesel va a un provino per un ruolo da italo-americano ma non sa parlare bene l’italiano e comunque il monologo che gli ha consigliato il suo agente è misogino e sembra poco adatto. Allora ci riprova per uno spot di una birra ma gli dicono che ormai i giochi sono chiusi. Poi per un ruolo da ispanico ma la commissione sembra delusa dal fatto che non abbia genitori latinoamericani. Alla fine vediamo un ultimo provino. Vin Diesel accantona il suo monologo e racconta di quando vide per la prima volta sul palco suo padre adottivo, un istruttore di teatro afroamericano. Dice: non sapevo che qualcuno potesse trasformarsi in un’altra persona. Alla fine la commissione sembra commossa ma lo boccia: cercavamo un tipo con i capelli lunghi. Il cortometraggio si chiude con Vin Diesel da solo a un tavolo di un diner, assorto nei suoi pensieri. Dietro di lui una ragazza si lamenta di non sentirsi mai adatta: sono sempre troppo bionda, o troppo in salute, o troppo bambola. Poi arriva il cameriere e ordina una tazza di caffè. E la ragazza gli fa: né troppo chiaro né troppo scuro. Vin Diesel sorride, guarda il soffitto. Titoli di coda. Scritto, diretto e prodotto da Vin Diesel.

RanXerox

‘Multi-facial’ è una delle tante cose al contrario della storia di Vin Diesel, che diventa una stella da Blockbuster autoproducendosi un cortometraggio di nicchia che verrà presentato a Cannes. Il cortometraggio è anche una delle poche testimonianze in nostro possesso sui suoi primi anni di carriera, tracce di un passato inimmaginabile oggi.

Un’altra è il racconto fatto su ‘Please Kill Me’ dal chitarrista e produttore discografico Gary Lucas, che ancora prima lo scopre per caso dopo aver ordinato del gelato a casa, strafatto di ecstasy. Mark Sinclair giovane appassionato di musica e cinema, che vuole diventare un rapper mentre alza qualche spicciolo lavorando alla gelateria di quartiere. Gary Lucas apre la porta, lo fa entrare, Vin Diesel è ancora magro, asciutto e ingenuo. Incuriosito da questa coppia - Gary Lucas e la compagna - probabilmente inabile e inerme sotto i colpi della droga. Poi la sua attenzione si ferma su un quadro appeso alla parete. È una tavola incorniciata presa da RanXerox, la serie a fumetti ideata alla fine degli anni ’70 da Stefano Tamburini e realizzata insieme ad Andrea Pazienza e Tanino Liberatore. “Mark era completamente incantato da questo pezzo d’arte e dal personaggio di RanXerox in generale, studiandolo attentamente prima di andarsene”, scrive Gary Lucas. “Un giorno”, scrive senza specificare quanto tempo dopo “è ricomparso completamente trasformato fisicamente in ciò che successivamente sarebbe diventato il personaggio Vin Diesel”.

Sappiamo già a cosa si riferisce Lucas, anche se a parole magari non lo abbiamo mai definito. Forse invece non tutti hanno presente il personaggio di RanXerox che, scrive Wikipedia, “si presentava come un antieroico ed amorale androide dal linguaggio turpe e sboccatissimo, e dotato d’una forza fisica sovraumana e d’una violenza e ferocia pressoché inarrestabili ed apparentemente irrazionali, un vero e proprio ‘coatto sintetico’ a detta del suo stesso creatore”.

Steven Spielberg

Vin Diesel si appropria dell’esteriorità del coatto sintetico. E la trasformazione fisica che comporta – le braccia sempre rigorosamente in bella mostra, i muscoli gonfi d’acciaio, “la sua voce sembrava scesa di almeno un’ottava fino ad assomigliare a delle fusa profonde” — ha un effetto ipnotico immediato. Gary Lucas ha l’idea allucinata di farlo lavorare insieme al compositore Arthur Russell, cioè di farlo rappare sulle sue basi, ma il progetto naufraga la prima volta che ci provano davvero. Allora Vin Diesel si butta sul cinema. Produce di tasca sua ‘Multi-facial’, lo porta a Cannes, ha la fortuna di incappare nello sguardo di Steven Spielberg, che a sua volta rimane ammaliato, forse dalla scultura di carne che abita, forse dalla voce che sembra venire dalle viscere della terra, forse dal suo sorriso rassicurante da golden retriever. Solo per lui si inventa una parte in ‘Salvate il soldato Ryan’. Eppure Vin Diesel ha dichiarato che in quegli anni percepiva la sua apparenza come un ostacolo. «Tutti mi conoscevano come buttafuori a New York, perché non riuscivo ad ottenere nessun lavoro». «C’era qualcosa di troppo ambiguo nel modo in cui apparivo che mi impediva di diventare una stella del cinema». Cosa è cambiato nel frattempo?

La sua fortuna in qualche modo sembra fondarsi sullo scollamento tra il modo in cui noi lo vediamo e quello in cui lui si percepisce. Tre anni dopo ‘Salvate il soldato Ryan’ Vin Diesel partecipa al film che getterà le basi della sua icona, ‘The Fast & the Furious’. Oggi la sua figura è inestricabile da questa saga ma in quegli anni Vin Diesel non è convinto del progetto, rifiuta di partecipare al secondo capitolo e impiega tutte le sue forze per dare vita al sequel del film a cui aveva partecipato l’anno precedente, ‘Pitch Black’ (2000). Nasce la saga di Riddick, la sua creatura preferita, dove applica i principi narrativi dell’amato gioco di ruolo ‘Dungeons & Dragons’ abbandonando uno sviluppo narrativo lineare e introducendo un nuovo modo di raccontare un personaggio. I film di fatto smettono di essere capitoli di una storia che procede in avanti e iniziano a procedere per cerchi concentrici intorno a un singolo personaggio, Riddick per l’appunto, immerso ogni volta in una storia più grande e più ricca, non necessariamente collegata alla precedente. Nel 2004 esce il secondo capitolo, ‘The Chronicles of Riddick’, ma è un fallimento di pubblico, riuscendo appena a rientrare dell’enorme budget speso.


Keystone
‘The Chronicles of Riddick’

C’è quindi un primo modo per leggere il suo successo, che è già controintuitivo rispetto al modo in cui appare. La storia dell’attore che diventa innovatore dell’industria cinematografica. Vin Diesel che rifiuta soldi facili per perseguire un proprio rischioso progetto creativo, che è talmente convinto delle sue idee che rientra dentro ‘Fast & Furious’, quando viene richiamato per un cameo nel terzo capitolo, solo a patto che gli vengano ceduti i diritti della saga di Riddick. Che quando poi, dopo il flop di ‘Tokyo Drift’, gli viene chiesto di rientrare per un quarto capitolo, riesce ad assicurarsi il controllo creativo anche della saga di ‘Fast&Furious’, dove è sicuro di poter far funzionare le idee che aveva sperimentato dentro Riddick. Che riesce a farle effettivamente funzionare, di fatto riavviando una saga che dopo il terzo film sembrava morta. Rendendola uno dei più grandi successi di pubblico dei nostri tempi. Solo quest’ultimo capitolo, ‘Fast X’, ha già incassato una cifra vicino ai 320 milioni di dollari a livello globale. Rinverdendo ulteriormente l’unica saga sopravvissuta ai primi anni del duemila e soprattutto, insieme a ‘John Wick’ e ‘Mission Impossible’, una delle poche oggi che tratta materiale originale, non derivante cioè da libri, fumetti o altri film.


Keystone
Con Paul Walker (1973-2013)

‘Ce l’abbiamo fatta Paul’

È difficile però dire se il successo di Fast&Furious sia davvero dovuto alle innovazioni narrative introdotte da Diesel, alla fine è una storia che al di fuori degli addetti ai lavori e degli appassionati non credo conoscano in molti. Come fa allora la saga a continuare a macinare miliardi di dollari a più di vent’anni dal suo primo film? Sono davvero le macchine sportive, le inverosimili scene d’azione, i meme sull’abusato concetto di famiglia, il cast sempre più variegato? Personalmente sono andato alla prima del film, a Roma, più che altro per vedere lui. Com’è fatto davvero questo enorme uomo calvo di 55 anni che pare non possiamo fare a meno di guardare? Con mia grande delusione ho scoperto che non indossa un gilet a pelle anche nella vita di tutti i giorni. Dentro la grande sala del cinema romano The Space si è presentato con un anonimo completo blu, senza cravatta, e con gli occhiali da sole nonostante la penombra della sala. Dopo essersi congratulato con il cast e il regista si è raccolto in silenzio, prima di guardare intensamente il cielo e di indicarlo con un dito. «Ce l’abbiamo fatta Paul, abbiamo fatto ‘Fast X’». Pochi secondi dopo è iniziato il film, e anche sullo schermo è apparso Paul Walker, in alcune scene prese dal sesto film della saga, ambientato a Rio de Janeiro, l’ultimo che è riuscito a finire di girare prima della sua morte in un incidente stradale.

‘È il nuovo americano’

Nel film i riferimenti alla vita di Vin Diesel sono subdoli ma costanti, che stia interpretando un personaggio lo si capisce solo dalla surreale etichetta che porta sul gilet, su cui c’è scritto inequivocabilmente: Dominic Toretto. Nel film suo figlio si chiama Brian, come il personaggio interpretato da Paul Walker, di cui viene – anche se non esplicitamente – commemorata la morte, nonostante nella saga il suo personaggio non sia mai morto davvero. Anche fuori dallo schermo Vin Diesel ha una figlia che si chiama Pauline in onore di Paul Walker. Il piccolo Brian, poi, è nero nonostante Dominic Toretto abbia una relazione con una latina. Anche questo è un riferimento alla vita di Vin Diesel, che non ha mai conosciuto il suo padre biologico ma ha sempre suggerito che fosse afroamericano come il suo padre adottivo, l’istruttore di teatro di cui parla in Multi-Facial. «[Vin Diesel] è il nuovo americano», ha dichiarato Rob Cohen, suo regista nel primo capitolo della saga. «Non sai cosa sia, e non conta nemmeno, perché lui è tutti. Tutti guardano Vin e pensano di vedere se stessi».

È questo, quindi? L’indecifrabilità razziale? O lo svuotamento della figura di RanXerox, la forza sottomessa all’umanità, la facilità con cui nella saga i cattivi diventano buoni? L’immagine del coatto svuotata del suo conflitto, quindi. Oppure l’intrinseca moralità dell’essere umano al di là dei ruoli? Alla fine Dominic Toretto è un ex galeotto che partecipa a corse clandestine. Continuiamo a non saper rispondere a queste domande, sospesi nell’illusoria realtà creata da questi film, mentre Vin Diesel continua a suggerircele con il suo sorriso caldo, che sembra non avere nulla da dire. «Credo di non aver mai fatto caso all’esteriorità, all’ambiguità che la mia esistenza rappresenta», ha detto una decina d’anni fa, quando gli venne conferita una stella nella Walk of Fame di Hollywood.


Keystone
Da ‘Fast X’ (2023)

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