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Da dove arriva Giorgia Meloni, l’ultima fiamma della destra

Agli albori del web era Khy-ri e discuteva di letteratura fantasy nelle chat. L’ex enfant prodige di Alleanza Nazionale ora punta al bersaglio grosso

Giorgia Meloni è nata a Roma il 15 gennaio 1977
(Keystone)
28 luglio 2022
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«Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana». Così parlava di sé nel 2019 Giorgia Meloni, leader del partito che i sondaggi danno in testa alle intenzioni di voto degli italiani nelle prime battute della campagna elettorale estiva innescata dalle dimissioni dell’esecutivo guidato da Mario Draghi. Una descrizione certamente utile per comprendere la postura morale della nuova destra italiana, ma che dice ben poco della donna che il prossimo 25 settembre punterà a diventare la prima presidente del Consiglio nella storia della Repubblica.

Perché nonostante si presenti come una outsider, Meloni è in realtà una politica navigata e una veterana delle istituzioni, che ha conquistato sul campo i gradi di presidente dei Conservatori Europei prima e di frontwoman del centrodestra italiano poi, facendosi strada tra le figure ingombranti di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. La sua è una storia di militanza che ha avuto inizio nei primi anni Novanta e che per oltre trent’anni ha cercato di tenere in equilibrio l’eredità politica del fascismo con la necessità di presentare un volto moderato al Paese. Non sempre riuscendoci.

I primi passi

Nata nel quartiere medio-borghese della Camilluccia, a due passi dalla scuola di formazione politica della Dc, all’età di tre anni Giorgia Meloni è costretta a traslocare nel più popolare quartiere della Garbatella, dopo aver involontariamente dato alle fiamme la casa di famiglia durante un gioco finito male. Qui Giorgia Meloni cresce insieme alla madre Anna, autrice di oltre 140 romanzi rosa scritti sotto lo pseudonimo di Josie Bell, e con la sorella Arianna, di due anni più grande. Il padre Francesco, commercialista di fede comunista, è invece andato via di casa nel 1978 per emigrare alle Canarie.


Con la mascherina tricolore in Parlamento (Keystone)

La lunga scalata verso Palazzo Chigi ha però avuto inizio nell’estate del 1992, quando ancora quindicenne scelse di aderire al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile di quel Movimento Sociale Italiano che era stato fondato da ex esponenti del regime fascista e che nasceva in diretta continuità con l’esperienza del Ventennio. Come ha recentemente spiegato la stessa Meloni, il precoce impegno politico fu una reazione istintiva alle stragi di mafia che nei primi anni Novanta avevano insanguinato l’Italia e che avevano raggiunto il culmine di violenza e drammaticità proprio nel luglio del 1992, con l’assassinio del giudice Paolo Borsellino (indicato come presidente della Repubblica dall’Msi appena due mesi prima).

La giovane Meloni iniziò così a frequentare la sezione di Colle Oppio, luogo di aggregazione storico della destra romana, dove nel giro di pochi mesi arrivò a fondare Gli Antenati, un coordinamento studentesco che si opponeva al progetto di riforma della pubblica istruzione promosso dall’allora ministra Rosa Russo Iervolino. Appena il tempo di prendere le misure ed ecco che il nuovo mondo di Giorgia Meloni cambia improvvisamente forma: il 15 gennaio 1995 il congresso di Fiuggi sancisce la fine dell’Msi e la nascita di Alleanza Nazionale, un soggetto politico guidato da Gianfranco Fini che rifiutava ogni riferimento ideologico al fascismo, per qualificarsi come vera e propria forza di governo.

Insieme al Movimento Sociale Italiano scompare anche il Fronte della Gioventù, che diventa Azione Giovani. Sono gli anni in cui Meloni si divide tra le piazze studentesche e quelle virtuali, dove si distingue per essere un’assidua frequentatrice di IRCItalia, una chat multi-utente particolarmente popolare agli albori di internet. Negli ambienti online Meloni si fa chiamare Khy-ri, "la draghetta di Undernet", e si esercita a discutere di draghi, letteratura fantasy e musica irlandese, ma nella vita reale è costretta a sbarcare il lunario facendo la baby sitter (accudendo, tra gli altri, la figlia del presentatore Fiorello, come svelerà in seguito), la cameriera e la barwoman al Piper, discoteca simbolo della musica beat italiana. Le soddisfazioni politiche, però, non tarderanno ad arrivare.

L’ascesa politica

Alle soglie del nuovo millennio Giorgia Meloni era ormai una militante di lungo corso, considerata il futuro del partito tanto dai dirigenti romani come Federico Mollicone, che da quelli nazionali come Maurizio Gasparri. Il suo più grande fan all’interno di AN era comunque Fabio Rampelli, che gli ex fascisti di Colle Oppio chiamavano "il capo" e che scelse di prendere Meloni sotto la sua ala protettiva, nel cosiddetto gruppo dei "Gabbiani", considerato tra i più nostalgici dell’esperienza missina e del suo apparato ideologico neofascista.

Grazie all’appoggio di Rampelli, nel 1998 Giorgia Meloni finì così sui volantini elettorali di Alleanza Nazionale scegliendo lo slogan «Sgradita al regime» e fece centro al primo colpo, vincendo le primarie interne per l’XI Municipio di Roma e diventando consigliera provinciale grazie a una valanga di voti presi nella roccaforte rossa della Garbatella, a due passi da casa. Anni dopo Rampelli dirà di lei: «L’ho scelta perché era irriverente e insieme dolce, e si prestava perfettamente a sdoganare l’immagine del militante di destra duro e puro, quello con la mascella volitiva e la testa rasata. Con lei alle provinciali passammo dalle ultime posizioni alle prime: un miracolo».


Insieme a Silvio Berlusconi nel 2009 (Keystone)

L’incarico istituzionale segnò il definitivo passaggio di Meloni da semplice militante a dirigente giovanile, ruolo che verrà ufficialmente ratificato nel 2004 con l’elezione a presidente di Azione Giovani e che ha fatto di lei la prima donna mai giunta ai vertici di un’organizzazione giovanile di destra, ambiente notoriamente poco sensibile alle questioni di genere. In questa veste Meloni ha dato vita alla prima edizione di Atreju, manifestazione politica giovanile della destra italiana tuttora celebrata con cadenza annuale, che deve il suo nome al protagonista del romanzo ‘La storia infinita’ di Michael Ende, oltre che alla già citata passione di Meloni per la letteratura fantasy.

Il passo successivo del cursus honorum non poteva che essere la candidatura in Parlamento, arrivata puntuale nel 2006, quando Meloni aveva appena 29 anni e una carriera da giornalista in erba presso il quotidiano di partito Secolo d’Italia (testata della quale è ancora formalmente dipendente, sebbene in aspettativa non retribuita). A questo punto della storia gli eventi iniziano ad accelerare a un ritmo frenetico e nel giro di pochi mesi Giorgia Meloni si ritrova con un seggio in Parlamento e con un ruolo da erede designata di Gianfranco Fini, che intravedeva in lei una potenziale futura guida della destra italiana e la scelse come vicepresidente della Camera. «Ho un rapporto sereno con il fascismo» dirà nella sua prima intervista dopo la nomina, «lo considero un passaggio della nostra storia nazionale».

L’impegno da vicepresidente è gravoso, ma la XV legislatura dura appena due anni e in fondo va bene così, perché Meloni sarà rieletta alla tornata successiva, nel 2008, e questa volta in una maggioranza di governo in grado di nominarla ministra della Gioventù (neanche a dirlo: la più giovane della storia repubblicana). Certo, nel frattempo il mondo politico che le girava attorno era cambiato un’altra volta e Alleanza Nazionale adesso non esisteva più. Al suo posto era nato il Popolo delle Libertà, un nuovo soggetto politico guidato da Silvio Berlusconi che teneva insieme le esperienze di An e di Forza Italia, e che prometteva di essere la casa di tutti i moderati.

Il periodo di Meloni al ministero della Gioventù non fu indimenticabile e viene ricordato principalmente per un brutto videogame sul Risorgimento italiano e per un fallimentare appello al boicottaggio dei giochi olimpici di Pechino 2008, bloccato persino da Fini e dall’allora ministro degli Esteri Franco Frattini. Fuori dall’aula l’enfant prodige della destra italiana si fece invece notare per la partecipazione alla commemorazione di Acca Larenzia, dove arrivò scortata dal leader neofascista di Forza Nuova Giuliano Castellino per posare una corona di fiori sotto una croce celtica. È ancora una volta la Meloni di lotta ad avere il sopravvento sulla Meloni di governo.

I primi anni Dieci del Duemila sono quelli della definitiva maturità politica di Giorgia Meloni, che si separò prima da Gianfranco Fini e poi da Silvio Berlusconi, per spiccare finalmente il volo. Il primo a cadere fu l’ex leader di An – l’uomo che più di tutti aveva creduto nella futura successione della sua protetta – che nel 2010 abbandonò il PdL in aperto contrasto con Berlusconi (erano i giorni del celebre «che fai, mi cacci?») per creare una nuova formazione centrista. Meloni scelse di non seguirlo e tempo dopo, a mente fredda, dichiarò che «quello che Fini fece fu tradire la destra».


Sul palco di un comizio elettorale con Matteo Salvini (Keystone)

Il turno di Berlusconi arrivò invece nel 2012, quando questi chiuse la porta ad ogni ipotesi di primarie per scegliere il nome del candidato premier del centrodestra alle successive elezioni politiche e Meloni reagì lasciando il partito insieme agli ex An Guido Crosetto e Ignazio La Russa. Il 21 dicembre 2012 nacque ufficialmente Fratelli d’Italia, partito di estrema destra che si rifà all’esperienza di Alleanza Nazionale e che riporta nel simbolo la fiamma tricolore del Movimento Sociale Italiano, quella che secondo l’iconografia fascista arderebbe ancora sulla tomba di Benito Mussolini. In un colpo solo, Giorgia Meloni aveva ucciso simbolicamente due tra i suoi padri politici; il terzo, Fabio Rampelli, sarebbe invece entrato in Fratelli d’Italia come suo sottoposto e uomo di fiducia.

L’ultimo miglio

Il resto è cronaca dei giorni nostri, con Giorgia Meloni eletta presidente di Fratelli d’Italia nel 2014 che trasforma il partito in una vera e propria macchina da opposizione, in grado di crescere nei consensi lentamente, ma inesorabilmente, restando sempre dall’altra parte della barricata. Contro l’Europa e la sua moneta unica, contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le adozioni omogenitoriali, contro ogni meccanismo in grado di riconoscere la cittadinanza alle seconde generazioni prima della maggiore età. Contro sei diversi governi e una riforma costituzionale, contro tutto e tutti. Questa formula ha permesso a Fratelli d’Italia di passare dall’1,96 per cento ottenuto nel 2013 al 4,35 per cento del 2018, fino ad arrivare al 25 per cento attualmente assegnatoli dai sondaggi, ma tutto da confermare alle urne.

Nei suoi quasi dieci anni di vita, Fratelli d’Italia si è progressivamente trasformato nel partito personale di Giorgia Meloni e della sua cerchia ristretta, composta dai compagni di avventura incontrati in trent’anni di attività politica, dai tempi dei "Gabbiani" di Colle Oppio fino alle ultime esperienze berlusconiane. E intanto il partito ha cambiato pelle per non essere fagocitato dalla storia, trasformandosi in un punto di riferimento del conservatorismo europeo vicino a Marine Le Pen, Viktor Orban e ai neo-franchisti spagnoli di Vox, e puntando tutto sulle strategie social di Tommaso Longobardi, trentunenne cresciuto professionalmente a pane e trumpismo.

In mezzo le solite tentazioni nostalgiche, come quando nel 2020 Meloni definì Giorgio Almirante «un grande uomo» e «un grande politico», sorvolando sul suo passato da collaborazionista nazista e da redattore del periodico ​​La difesa della Razza, o come quando nel 2021 l’Europarlamentare Carlo Fidanza fu sorpreso dalle telecamere nascoste di Fanpage a mostrare il saluto romano e a scandire la frase «Heil Hitler». E tanti, troppi guai giudiziari, che sono valsi al partito di Meloni il record negativo di arrestati per ’ndrangheta.

Il prossimo 25 settembre la trentennale storia politica dell’ex militante di Colle Oppio si arricchirà di un nuovo, importante snodo, quando chiederà agli italiani di dare fiducia alla prima premier donna della storia repubblicana, nonché alla prima esponente di estrema destra a guidare il governo dai tempi di Benito Mussolini. Sarebbe l’ennesimo record, nel bene o nel male, ma questa ormai non dovrebbe essere una novità.

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