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La destalinizzazione della Russia, compito della società russa

Putin non è Stalin. Ma comincia ad assomigliargli. Nessuno dei due è Napoleone, ma a risentire il verro di Orwell è difficile non pensare a loro

‘Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri’
(Keystone)
16 marzo 2022
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Luigi Bonaparte non era Napoleone. Ciononostante, lo diventò. Nel 1852, dopo aver dissolto la Repubblica, si fece proclamare imperatore di Francia. Ne risultò un gran pasticcio. Ma soprattutto diede conferma a quel lucido postulato di Marx, secondo il quale "la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa". Che poi la drammaticità della farsa possa essere paragonabile a quella della tragedia, o che in ogni caso ci siano delle conseguenze disastrose anche in questi brutti remake, l’assioma marxiano non fa una grinza.

Putin non è Stalin. Ma comincia ad assomigliargli. "Si sta trasformando in un dittatore che ricorre, come mai prima, a bugie, violenza e paranoia", si legge sull’ultimo numero di ‘The Economist’. A casa sua ha chiuso i media indipendenti, minaccia i giornalisti con 15 anni di prigione e ha fatto arrestare migliaia di manifestanti contro la guerra.

Dopo la morte di Lenin e l’estromissione di Trotsky, il dittatore russo pretese la collettivizzazione forzata che costò la vita a milioni di persone. Il regime impose un sistema socioeconomico che qui chiameremo ‘sovietico’ (c’è ancora chi crede che ‘comunismo’ sia o possa essere qualcosa d’altro): economia pianificata, repressione e repubbliche vassalle. Putin negli ultimi due decenni è riuscito a consolidare, sempre dall’alto verso il basso, una struttura in cui si mescolano un’economia di mercato capitanata dallo Stato e un sistema "democratico" illiberale (contraddizione in termini brillantemente spiegata da Andrea Ghiringhelli su queste colonne solo qualche giorno fa). Stalin ottenne con la guerra terre e neutralità dalla Finlandia. Putin ci sta provando in Ucraina.

Ci sono poi dei dovuti distinguo, che purtroppo non rendono la situazione meno grave. Scrive il settimanale inglese: "Stalin ha presieduto un’economia in crescita. Anche se in modo omicida, ha attinto a una vera ideologia (sic!). Anche se ha commesso degli oltraggi, ha consolidato l’impero sovietico. Dopo essere stato attaccato dalla Germania nazista, è stato salvato dall’incredibile sacrificio del suo Paese, che ha fatto più di ogni altro per vincere la guerra. Putin non ha nessuno di questi vantaggi. Non solo non riesce a vincere una guerra fatta per scelta mentre impoverisce il suo popolo: il suo regime manca di un nucleo ideologico. Il ‘Putinismo’, qualunque cosa esso sia, mescola nazionalismo e religione ortodossa per un pubblico televisivo. Le regioni della Russia, distribuite su undici fusi orari, stanno già mormorando che questa è la guerra di Mosca". Ecco la farsa, spiegata bene.

Siamo in particolare d’accordo con la conclusione alla quale giunge l’articolo citato: destalinizzare la Russia è un compito della società russa. Per quanto l’Occidente desideri un nuovo governo a Mosca, deve essere consapevole del fatto che non spetta a lui progettarne direttamente uno. Altrimenti il fallimento sarebbe inevitabile.

"Nessun indugio compagni! C’è del lavoro da fare. Oggi stesso incominceremo a ricostruire il mulino, e andremo avanti a costruirlo per tutto l’inverno, con la pioggia e con il sole… E ricordatevi, compagni: i nostri programmi non devono cambiare, essi saranno tutti realizzati nel tempo previsto... Lunga vita alla Fattoria degli Animali!".

Né Stalin né Putin sono Napoleone. Ma a risentire il grugnito di quello di Orwell, è difficile non confonderlo con la voce degli autocrati russi.

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