Calcio

Degennaro: ‘Comincio a pensare che noi siamo questi’

Il dirigente fotografa il momento delicato del suo Sion, prossimo rivale del Lugano. ‘Lottiamo anche noi per non retrocedere, è bene prenderne coscienza’

21 febbraio 2020
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È l’anno buono, è l’allenatore giusto. Sono delle speranze, più che dei concetti in cui dalle parti del Tourbillon credono davvero. Del resto, tante ne hanno viste e sentite, che diventa davvero difficile votarsi all’ottimismo, in una piazza abituata da troppo tempo ormai a disattendere qualsivoglia aspettativa.

Possibile che il Sion non riesca mai ad avere un rendimento costante, di un livello consono al potenziale e alle aspettative di una piazza tradizionalmente molto vicina alla propria squadra del cuore? «Comincio a pensare – spiega il direttore generale dei vallesani Marco Degennaro – che noi siamo questi. Siamo una piazza in cui gli allenatori non riescono a legare e avere un rapporto duraturo con il club. La nostra dimensione è questa, il nostro livello è questo, ne dobbiamo prendere coscienza. Non possiamo sempre pensare che un anno c’entri la sfortuna, un altr’anno sia colpa dell’allenatore, la volta dopo incida chissà quale fattore negativo. Oggi il Sion è questo: dobbiamo attestarci come squadra che deve salvarsi, facendo immediatamente nostra la mentalità giusta di chi ha piena consapevolezza di quale traguardo deve inseguire. Se parti con l’atteggiamento sbagliato, poi cambiarlo in corsa e iniziare solo cammin facendo a pensare di essere una squadra che deve lottare per la salvezza diventa rischioso. Può andare bene una stagione, magari anche una seconda, ma poi il pericolo di non più farcela è reale. Si rischia di pagarla a caro prezzo quella mancanza di giusta mentalità».

C’è qualcosa di inedito che caratterizza la stagione in corso del Sion, o quantomeno di diverso da quanto accaduto in passato? «Non è accaduto nulla di diverso dal solito. Siamo partiti con giocatori che pensavamo potessero fare la differenza, con un allenatore che pensavamo ci potesse portare in alto, ma invece ci troviamo in questa situazione. Non per colpe esclusive dei calciatori o del tecnico in questione».

La piazza, nonostante tutto, vi segue. «Abbiamo avuto un calo di affluenza allo stadio negli ultimi due o tre mesi, ma è comprensibile. Posso capire che i tifosi si stanchino di andare a vedere una squadra che disattende le attese. Proprio perché a Sion si parte con un’idea che non è quella con cui poi ci si ritrova confrontati. Se fossimo partiti con l’obiettivo dichiarato della salvezza, avremmo un pubblico comunque votato alla nostra causa, anche piuttosto numeroso. Se cominci invece con determinate aspettative e i risultati non arrivano, poi sei costretto a convincere i calciatori, te stesso, la società, che la situazione è davvero delicata. Un’operazione complessa che chiama in causa anche il pubblico, costretto a risintonizzarsi anch’esso. A inizio stagione pregustava un campionato completamente diverso, ma poi viene invitato allo stadio per una squadra che non ne vince mai una. Il pericolo che si disaffezioni è concreto».

Credibilità in calando

In un calcio antico, romantico ma non più attuale, una delle peculiarità del Sion erano i giocatori ‘fatti in casa’, con i quali una piazza così esigente non faticava a identificarsi. Al netto di tempi ormai stravolti, non solo cambiati, il Sion ha mai pensato a ridarsi un’impronta maggiormente vicina al territorio in cui opera? «Potrebbe essere una soluzione. Va comunque ricordato che ogni anno riusciamo già a inserire in prima squadra uno o due elementi del settore giovanile. Non è scontato riuscirci, basti pensare alle difficoltà che ha il Ticino, in un bacino più o meno simile al Vallese. Edimilson, Fernandes, Toma, Sierro... Qualche svizzero in più abbiamo poi cercato di inserirlo, ma anche questa operazione non è stata troppo fortunata. Si pensi agli alti e bassi con Kasami, alle incomprensioni avute con Behrami, per colpe che sono distribuite su più attori, non solo del giocatore. Ora abbiamo Djourou, con il quale speriamo di avere maggiore successo. Agli occhi della gente, il suo passato di nazionale svizzero, di giocatore forte, di livello, qualche garanzia la dà. Più di quanto possa fare l’ennesima scommessa fatta sul mercato, il cui rendimento sovente è insufficiente. Acquisti che, oltretutto, presuppongono investimenti piuttosto onerosi. Sai, se non spendi un franco per un calciatore, poi ci sta che non renda ad altissimi livelli. Se però investi un discreto gruzzoletto e non ottieni granché sul piano dei risultati. come accaduto negli ultimi anni, è chiaro che i conti non tornano.  Ed è un problema anche sul piano delle aspettative dei nostri tifosi, puntualmente disattese».

In campionato comanda il San Gallo, Yb e Basilea inseguono. Un bene o un male? «Per la forza economica che esprimono, Yb e Basilea dovrebbero dominare. Se non lo fanno, significa che c’è qualcosa che non va. Parimenti, se il Sion non è in alto, qualcosa non torna. È un male per la Svizzera: per il ranking Uefa, per i posti nelle competizioni europee, per l’appetibilità stessa del campionato svizzero. Oggi guida il San Gallo, compagine uscita nei preliminari di Europa League contro un’avversaria della quale manco ricordiamo più il nome. A fronte di questa considerazione, è lecito domandarsi che campionato sia, quello svizzero. Il livello si è abbassato, c’è un certo appiattimento. C’è imprevedibilità, laddove in passato il risultato era scontato, ma sul piano della forza e dell’impatto che la Super League vanta a livello europeo è chiaro che la credibilità va scemando, a scapito della futura partecipazione delle squadre elvetiche alle competizioni europee. La prima classificata non avrà più l’accesso diretto alla Champions, la seconda e la terza dovranno prendere parte alla terza competizione alla quale l’Uefa sta lavorando. Magari partendo pure dai preliminari, contro un’avversaria di cui si fatica a pronunciare il nome, ma che rischia di eliminarti, ahimé. Come accadde tre anni fa a noi, con Tramezzani, contro i lituani del Sudova, con una squadra con la quale pensavamo di competere per il campionato. È triste, ma è la nostra realtà. Perderemo i punti dell’ultimo quinquennio, quello del Basilea che andava avanti in Champions, del brillante cammino in Europa League dello stesso Sion, nel 2015».

Al quadretto desolante aggiungiamo che il Servette neopromosso è quarto. «Hanno cambiato pochissimo, i granata. È ancora più drammatico, per certi versi. Significa che qualunque squadra, strutturandosi bene e lavorando in un certo modo, può essere protagonista. In Svizzera, del resto, funziona così. Il Lugano nella passata stagione era in Europa, ora invece lotta per non retrocedere. Succede tutto e il contrario di tutto, nell’arco di pochi mesi. Ne risente la stabilità».

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