Svizzera

Protesi mammarie, necessario un controllo annuale

Tornano a far discutere le protesi mammarie cancerogene. Il professor Yves Harder dell’Eoc spiega cosa bisogna fare.

(Keystone)
19 febbraio 2019
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È «una storia sempre più presente nell’opinione pubblica, che adesso va presa sul serio» quella dei tumori potenzialmente associati alle protesi mammarie rilanciata dalla ‘Nzz am Sonntag’ (cfr. sotto). A dirlo è il professor Yves Harder, responsabile della chirurgia plastica e ricostruttiva ed estetica all’Ente ospedaliero cantonale (Eoc).

Le protesi incriminate sono quelle con superficie ruvida (o testurizzata) della Allergan. Rispetto a quelle lisce, utilizzate per lo più in giovani donne che si sottopongono a interventi chirurgici per aumentare il volume del seno, questo tipo di protesi – con le quali viene ricostruito il seno di buona parte delle pazienti oncologiche dopo una mastectomia – «attecchisce meglio sui tessuti della donna e rimane fermo nel posto prestabilito», spiega Harder. 

In dicembre le protesi ‘ruvide’ della Allergan sono state ritirate dal mercato nenell’Ue. Il nome della società irlandese è ormai su tutti i giornali. E «noi riceviamo ogni giorno delle chiamate di donne che ci chiedono cosa devono fare», afferma il presidente della Società ticinese di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.

Appunto, cosa devono fare le donne con una protesi mammaria Allergan o di altro tipo? «Non c’è nessuna ragione di essere spaventate», premette Harder. Da parte di Swiss Plastic Surgery – la Società svizzera di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, peraltro in disaccordo con le autorità sanitarie francesi, che raccomandano l’utilizzo di protesi lisce – «non vi è una indicazione di togliere le protesi Allergan in assenza di sintomi. Tutte le donne che ne hanno una però dovranno fare ogni anno un controllo». Un «segnale d’allarme», invece, è dato – anche a distanza di anni o di decenni dall’intervento chirurgico – da «un gonfiore improvviso, dall’oggi al domani, con il seno che, per una ragione o per un’altra, si riempie di siero, diventa teso ma non fa male». Va però detto che il tumore, «qualora dovesse manifestarsi, può essere guarito se diagnosticato presto e in modo accurato: in questi casi di regola basta togliere la protesi e la capsula attorno ad essa».

Siamo a cavallo di oncologia e chirurgia plastica. «Noi – spiega Michele Ghielmini, direttore medico e scientifico dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) – cerchiamo di favorire una ricostruzione nel tempo più breve possibile. Durante l’intervento chirurgico togliamo il tumore, e nella misura del possibile creiamo le condizioni affinché una ricostruzione possa venir effettuata. Questa ricostruzione può essere fatta con protesi o in altro modo, ad esempio con lembi di pelle prelevati da varie parti del corpo. È una cosa che decidono i chirurghi plastici, con i quali comunque lavoriamo a stretto contatto. L’approccio in casi del genere è sempre multidisciplinare».

 

Anche in Svizzera vi sono donne che si sono ammalate di cancro a causa delle protesi mammarie, considerate innocue fino a un recente passato. Lo ha riferito la ‘Nzz am Sonntag’ (cfr. ‘laRegione’ di ieri). La ‘notizia’ non coglie di sorpresa gli specialisti. L’incidenza però è «bassissima» e la speranza è che non si entri in un’altra «fase d’allarmismo», dice alla ‘Regione’ Michele Ghielmini, direttore medico e scientifico dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi).

Parliamo di linfomi, un gruppo di tumori che interessa il sistema immunitario. E di un tipo particolare di linfoma: quello associato alle protesi mammarie. La sua scoperta è relativamente recente: il primo caso è stato descritto una ventina d’anni fa. Ma nell’ultima classificazione internazionale dei linfomi maligni, di pochi anni fa, appare ormai come «nuova malattia a sé stante» accanto a una novantina di altri tipi di linfoma, spiega Ghielmini. La professoressa Laurence de Leval, primario di patologia all’Ospedale universitario di Losanna, terrà una conferenza sul tema alla 15esima edizione del congresso mondiale sui linfomi (Lugano, 18-22 giugno).

Ghielmini, peraltro co-autore della nuova classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), rileva che «qualsiasi persona che metta una protesi al seno – perché ha dovuto togliere il seno a seguito di un tumore, o per motivi estetici – è a rischio di sviluppare» la malattia. Il rischio però è limitato, secondo la Food and Drug Administration statunitense. Finora le autorità sanitarie hanno identificato a livello mondiale 660 casi di tumore (nove mortali) attribuibile alle protesi.

«Ad ammalarsi è circa una donna ‘giovane’ ogni 50mila protesi e una donna ‘anziana’ ogni 7mila protesi», indica il direttore dello Iosi. In base ai dati a disposizione, si può dunque dire che l’incidenza è «bassissima». La letteratura medica, però, riporta solo una parte dei casi effettivi. «Il caso che abbiamo visto noi allo Iosi [uno dei quattro-cinque segnalati sin qui in Svizzera, ndr], ad esempio, non lo abbiamo pubblicato: ci siamo limitati a metterlo nel Registro dei tumori cantonale. Quindi i casi probabilmente sono più numerosi».

«Il linfoma della mammella – prosegue Ghielmini – è noto: rappresenta circa l’1% di tutti i linfomi. E di questa malattia rara, solo il 10% è dovuto alle protesi». D’altro canto, facciamo notare, delle nove donne ammalatesi di cancro a causa delle protesi mammarie e poi decedute, alcune sono morte per tumori ai polmoni o al fegato. «I linfomi in genere sono guaribili. Però se non guariscono, vanno a fare delle metastasi in varie parti del corpo, tra cui fegato e polmoni. Posso immaginarmi che si tratti di manifestazioni a distanza del linfoma che era iniziato nella mammella».

Il linfoma, inoltre, è associato a un tipo particolare di protesi. «La protesi è un sacchetto di silicone con una membrana in giro. Questa membrana può essere ruvida o liscia: i linfomi sono associati alle protesi che hanno una membrana ruvida». Le ipotesi sono svariate. «Si pensa ad esempio che le protesi con membrana ruvida provocano più infiammazione; e sappiamo che l’infiammazione – in quanto stimolazione del sistema immunitario – può favorire l’insorgere di un linfoma in una determinata parte del corpo. Altra ipotesi: queste zone ruvide nascondono certi tipi di batteri, che provocano un’infiammazione cronica, che a sua volta forse provoca il linfoma». F

inora allo Iosi non sono pervenute richieste di informazioni al riguardo. «Probabilmente arriveranno dopo la lettura di questi articoli», pronostica Ghielmini. L’oncologo smorza sul nascere qualsiasi allarmismo. Perché «il rischio di mettere paura» alle donne con una protesi mammaria «in effetti c’è». Lo si è visto già diversi anni fa, anche in Svizzera, sulla scia di vari articoli di stampa che tematizzavano il legame tra protesi della mammella e linfoma. «C’era già stata una fase di allarmismo», ricorda Ghielmini.

 

 

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