Da dieci mesi, i due cicloturisti sono sulla strada verso est. Li raggiungiamo in Vietnam, dove si sono fermati per far riposare le gambe
«Mentre pedaliamo, lontano da ogni insediamento, sulla sponda del fiume scorgiamo un vecchio pescatore. Non appena ci vede, con incredibile agilità, si alza e ci viene incontro con un grosso pesce ancora boccheggiante. Vuole regalarcelo: ci spiega come cucinarlo e quanto sia delizioso. Decliniamo; ma lui insiste. Poi ci offre un tè. Attorno non ci sono case, né auto o bici; chissà dove vivrà questo vecchietto che rinuncerebbe al suo pesce per noi…». Sono momenti come questo vissuto in Pamir che Veronica ricorda vividi e che l’hanno fatta riflettere non poco durante il lungo pedalare verso oriente.
Dieci mesi fa, infatti, la gordolese Veronica Soldati e il suo compagno Remo Wild (appenzellese) sono partiti verso est in sella alle loro biciclette. Raggiungiamo Veronica via Skype, mentre i due si trovano a Nha Trang (in Vietnam): «Le gambe chiedevano venia» dopo oltre 13mila chilometri di itinerario, e noi ne abbiamo approfittato per farci raccontare quello che potremmo definire senza troppi giri di parole il “Viaggio (con lettera capitale) che ti cambia”.
Veronica (1990), ha studiato scienze ambientali e agronomia, in seguito ha lavorato per Bio Suisse. Remo Wild (1989) ha anche studiato scienze ambientali e poi ha lavorato in un ufficio di consulenza ambientale nei Grigioni.
Gordola e Coira sono gli ultimi loro domicili svizzeri. Dopo essersi licenziati, si sono lanciati nell’avventura di dare anima e carne a «quell’idea di percorrere in bicicletta quella strada cosparsa di carovane, cammelli, merci, idee…» che è la Via della Seta. L’idea ronzava in testa a Veronica da parecchio tempo: «Credo sia stato mio papà, con i suoi libri e quando mi portava ad ascoltare le storie di ciclisti, a mettermela in mente».
Partiranno nell’aprile del 2019, dalla Grecia, pianificando il viaggio fino in Cina, quali tratte e che Stati visitare con le biciclette cariche di quattro borse ciascuna, con pentolame e in «più tenda e ukulele portati da Remo». «Il Vietnam è il 12esimo Paese che visitiamo, dopo aver attraversato Grecia, Turchia, Georgia, Armenia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Cina e Laos», racconta Veronica. Salendo fin'oltre 4’500 metri di altitudine, sulla catena montuosa del Pamir, un altopiano molto vasto dell’Asia Centrale.
Le gambe devono essere sicuramente buone, ma la preparazione è soprattutto mentale: «80 per cento testa, 20 per cento corpo», dice Veronica, ricordando uno svizzero fra i pionieri, a livello nazionale, del cicloturismo. Per il resto, racconta, che molto utili sono chat e forum di cicloturisti, dove è possibile reperire informazioni. «Non ci siamo preparati specificamente per il viaggio; siamo entrambi abbastanza sportivi».
Sportivi o super sportivi, è innegabile che a un certo punto la fatidica domanda del “chi-me-l’ha-fatto-fare” arriva: «Durante le prime settimane di viaggio, me la sono posta quasi tutti i giorni», racconta. Arrivati in Turchia – la porta d’Oriente –, piano, piano lo shock svanisce e i due trentenni continuano il loro viaggio con qualsiasi condizione meteorologica, dormendo in tenda sotto le stelle – «ci piace la libertà che ci dà» – oppure, solo quando nei centri abitati, negli ostelli.
Il legame fra la riuscita del viaggio e gli incontri vissuti lungo il suo itinerario è molto stretto, spiega Veronica. In particolare, dalla Turchia in avanti (raggiungendo l’apice dell’ospitalità in Iran), i due ciclisti hanno sempre trovato «porte e cuori aperti». «Il viaggio non lo fanno i panorami, che indiscutibilmente sono mozzafiato, remoti ed eterni, tanto che ci si rende conto di durare un nulla nella storia. Il viaggio lo fanno le persone».
Ascoltare le storie, stare a stretto contatto e imparare come vivono altri popoli è estremamente affascinante e arricchente, tanto che Veronica dice che pedalando si è trovata spesso a rilfettere su quanto visto e vissuto. Un’esperienza che aiuta a decostruire gli stereotipi di cui siamo intrisi e vedere tutto quello che c’è fra il bianco e il nero.
«Il visto più ostico da ottenere, prima di quello russo, è quello cinese: in teoria si può fare solo da Berna e tre mesi prima di entrare, ma noi lo abbiamo fatto a Teheran. Gli altri li fai più o meno tutti per strada…». Passare le frontiere e i controlli dipende da chi si trova piantonato lì in quel momento. Veronica racconta che l’esperienza più difficile è stata entrare in Cina, nella Provincia dello Xinjiang, «dove gli uiguri sono perseguitati e messi in campi di lavoro. Lì passi ore sotto controllo, bagagli, fotografie nel telefono, si viene anche filmati e bisogna rispondere a molte domande… ci abbiamo messo otto ore a entrare in Cina».
In Cina, «in un momento di malinconia, soprattutto mia» rivela, si sono resi conto che hanno voglia di tornare a casa. «Ma non vogliamo volare, quindi è più complicato del previsto». Il piano, spiega, è risalire, andare in Cina e da Shanghai prendere una nave per il Giappone, andare in Russia, salire sulla Transiberiana e infine pedalare dalla stazione russa fino a casa, «arrivandoci a fine estate».