Sogno o son Festival / Il celebre cantautore americano, sul palco dell’Ariston questa sera, al "microfono" del nostro inviato a Sanremo
Prefazione. L’artista è in terribile ritardo. Lo attende un’auto di servizio. Aspettiamo davanti alla porta del suo box-camerino, nel quale si infila a turno l’eminenza grigia della critica musicale di questo Paese. Dietro di noi, bionde presentatrici di Festival e rosse cantanti di una certa età transitano con un nugolo di assistenti che per solerzia alzano la polvere. Aspettiamo pazienti, sperando che l’extrasistole si plachi e che l’auto che preleverà James Taylor sia in ritardo. Oppure abbia centrato una palma di Piazza Colombo. Naturalmente senza alcuna conseguenza per l’autista. Fine della prefazione.
Poteva bastarci la conferenza stampa nella quale ha annunciato l’imminente duetto con Giorgia («Conosco il suo timbro, si presta a ‘You’ve got a friend’). Ma la porta si apre, l’emorragia di cervelli fuoriesce e si palesa ‘Sweet James’ (perché Baby era il nipotino, che porta il suo nome). Gli ricordiamo il concerto zurighese del 2015, quando la Kongresshaus ascoltò i brani da ‘Before this world’. «Allora sei di Zurigo?». Gli rispondiamo: «Di Lugano». È in quel momento che l’artista che ama regalare il dopo-concerto al suo pubblico, seduto sul boccascena a fare autografi invece che sviarsela come le star ‘de noartri’, è James Taylor dal cappellino fino alle scarpe, ci apre la porta per intero e ci invita ad entrare. «Lugano? Io adoro Lugano. Ci sono stato, ma si parla di tanto tempo fa. Da qualche parte devo avere una fotografia»...
Non saprei, dovevo avere non più di 8 anni. Nella foto siamo io e mia sorella che remiamo sul lago…
No, su ‘One man dog’ ero molto più cresciuto…
Io scrivo canzoni, che è qualcosa che amo fare profondamente. Scrivo storie che, prima di tutto, significano qualcosa per me. Qualche volta succede che queste storie significano qualcosa anche per altre persone, e quando questo accade, si verifica la migliore delle unioni. È successo tante volte.
Amo girare in tour, amo il concerto. Questo comporta il privilegio di trascorrere tanto tempo con la mia band.
Certo. Il tempo trascorso con i miei musicisti è bello quanto quello che spendo col mio pubblico. Se ti sta piacendo quello che stai facendo, anche il pubblico apprezzerà. Il pubblico è saggio, capisce se e quando questo accade.
Mi manca tantissimo Don Grolnick, mi manca tantissimo Michael Brecker. Al di là dell’aspetto artistico, mi manca il fatto che erano persone, esseri umani che sentivo realmente vicini,
Sì, anche Carlos ha lasciato un grande vuoto. Carlos, Michael e Don sono le persone che mi mancano di più. Avrei voluto tanto che restassero con me ancora a lungo.
Postfazione.
Forse il cantante ha letto negli occhi del cronista tutto l’amore che un cronista può provare per un cantante; forse è stato il tour manager col cappellino di uno sport pacifico come il baseball (James, al baseball, ai suoi ‘Angels of Fenway’ ha dedicato pure una canzone).
Insomma, alla fine James Taylor ci ha concesso un’intervista. Non ricordiamo come sia andata precisamente. Certo è che l’exstrasistole, poi, si è fermata.