Ora chi proviene dall'America centrale – Messico escluso – non potrà chiedere accoglienza se non ci aveva già provato dal paese d'origine
È una vittoria per Donald Trump nella sua guerra contro i migranti, quella accordata ieri da una Corte Suprema a trazione ormai conservatrice: i giudici hanno autorizzato le nuove regole dettate dalla Casa Bianca, che proibiscono a chi arriva nei centri d'accoglienza alla frontiera di presentare domanda d'asilo se prima non aveva già fatto lo stesso nel suo paese d'origine. La decisione è di quelle che pesano, perché cancella da un secondo all'altro le speranze di migliaia di persone stipate negli inadeguati campi al confine col Messico (quelli che la deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez aveva già definito "campi di concentramento").
La schermaglia legale non finisce qui, e vi saranno certamente nuovi appelli. Intanto però il presidente Usa incassa un 'sì' importante per una campagna elettorale che della promessa di 'muri' e tolleranza zero ha fatto un punto programmatico prioritario. È una sconfitta invece per i migranti centroamericani – da Honduras, Salvador, Guatemala etc. –, mentre per i messicani, che non devono attraversare un paese terzo per raggiungere gli Usa, non cambia nulla. Ma ora è proprio il Messico che rischia di trovarsi a dover assorbire le masse di migranti accalcatisi alla frontiera.
A luglio, la Corte Suprema aveva già permesso a Trump di utilizzare due miliardi e mezzo di dollari dai fondi del Pentagono per costruire la barriera al confine col Messico. L'anno scorso, la stessa corte aveva approvato il 'travel ban' – il 'bando ai viaggi' – da numerosi paesi musulmani.
Si tratta di misure che rimettono in discussione una lunga tradizione dell'asilo, che permetteva di chiedere accoglienza a chiunque arrivasse negli Usa, non importa come. Parere contrario è arrivato solo dai giudici più progressisti, Sonia Sotomayor e Ruth Bader Ginsburg.