Estero

Zemmour, il fondamentalista ributtante

Il polemista e paladino della destra francese, xenofobo e reazionario, si candida ufficialmente per l’Eliseo

Zemmour è già stato ribattezzato il Trump francese (Keystone)
30 novembre 2021
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Michel Houellebecq, superstar della letteratura francese e ultimo grano dimenticato del francesissimo rosario laico snocciolato ieri dal neocandidato all’Eliseo Éric Zemmour, pubblicò il suo controverso “Sottomissione” il 7 gennaio 2015, lo stesso giorno dell’attentato nella sede di Charlie Hebdo. Un romanzo in cui un Partito islamico vinceva a sorpresa le elezioni presidenziali del 2022 sottomettendo la Francia a una sorta di Sharia light. Per alcuni, lì dentro, Houellebecq aveva previsto il futuro, assegnando la carica di presidente a un musulmano di seconda generazione, Mohammed Ben Abbes.

Sei anni dopo, il candidato in carne e ossa che sembra uscito da un romanzo e fa discutere la Francia è un immigrato ebreo algerino di seconda generazione che ha preso la strada opposta, aizza la destra xenofoba e vuole abolire i nomi arabi come Mohammed. Éric Zemmour, il polemista che finora aveva ballato sul filo della politica, tenendo sempre un piede dentro e uno fuori dalla corsa presidenziale, è ora un candidato ufficiale all’Eliseo.

L’annuncio, tra un profluvio di nomi che trasudano Francia (dal generale De Gaulle a Brigitte Bardot, da Napoleone a Belmondo), è arrivato dopo giornate complicate per lui, l’astro nascente già diventato calante, dato in ribasso nei sondaggi dopo aver scavalcato colei che aveva il monopolio della destra francese, Marine Le Pen. Ancora oggi non è considerato improbabile, il prossimo aprile, un ballottaggio tra il presidente uscente Macron e Zemmour.

Come sia arrivato fin lì, dicendo quel che dice, facendo quel che fa, superando a destra il vecchio Front National (ora ribattezzato Rassemblement National) sembra un po’ un mistero, ma non lo è in una Francia sull’orlo di una crisi di nervi che avverte d’aver perso ciò che le è più caro: l’identità.

Figlio di un ambulante e di una casalinga, Zemmour, che ha 63 anni, è nato a Montreuil, una città della cintura parigina soprannominata la Piccola Bamako per la forte migrazione africana (in particolare dal Mali). Forse è da trovare lì il germe della sua politica intransigente, quella che tuona contro l’islamizzazione della Francia, vera o presunta che sia. Nel 2016, un anno dopo “Sottomissione” di Houellebecq, il caso letterario era lui, che se n’era uscito con un saggio dal titolo provocatorio, “Il suicidio francese”, in cui metteva in fila le sue invettive contro le élite politiche artistiche e figlie del ‘68.


Éric Zemmour ha 63 anni (Keystone)

Giornalista prima al Quotidien de Paris e poi a Le Figaro è sempre stato uno che sapeva come farsi notare. Negli anni, l’ex editorialista ha affinato le sue tecniche di comunicazione fino ad accentrare su di sé gran parte del dibattito politico, anche grazie a un’indubbia capacità di tenere banco nell’elettrico talk show che ospitava sul canale televisivo Cnews.

Volgare, reazionario, provocatore, sgradevole talvolta - sempre più spesso - oltre i limiti e condannato due volte per istigazione all’odio razziale (su decine di processi, rispondono sempre i suoi avvocati), prende ogni inciampo come una medaglia, conscio che un pezzo di Francia non solo lo segue, ma lo adora, considerandolo l’unico vero outsider della prossima campagna elettorale. Ma le sue sparate (esempio: ha paragonato la tunica dei nordafricani, la djellaba, alla divisa di un esercito occupante) non sono passate inosservate, a tal punto che perfino a Ginevra, una settimana fa, ha dovuto affrontare migliaia di dimostranti che gli davano del detestabile fascista. Da quando è partito per il tour promozionale del suo ultimo libro (“La Francia non ha detto la sua ultima parola”), trasformato da ieri in tour elettorale, è incappato in altri incidenti non previsti: il 20 ottobre, a un fiera, aveva imbracciato un fucile ad alta precisione e lo aveva puntato contro i giornalisti dicendo “ora non ridete più eh, indietreggiate”; il 13 novembre, nel sesto anniversario dell’attentato al Bataclan, si è presentato davanti alla sala concerti accusando l’ex presidente Hollande di non aver protetto i francesi con “la decisione criminale di lasciare aperti i confini”: in quell’occasione gli furono contestate due cose, il fatto di essere stato il primo politico a parlare dal luogo della strage e di aver dato informazioni false, omettendo che gli attentatori provenivano dalla stessa Francia e dal Belgio. Infine, venerdì scorso, dopo che la presentazione del suo libro - boicottata dai movimenti antifascisti - era stata un fiasco, era stato ripreso mentre faceva il dito medio a una contestatrice. Ha provato a rigirare la frittata, spiegando che quello è l’unico linguaggio che conoscono gli antifa, ma la mossa non è stata gradita ai più.


Le proteste a Ginevra durante la visita di Zemmour in Svizzera (Keystone)

Come se non bastasse, la rivista Closer ha pubblicato un articolo in cui si dice che diventerà presto padre. La madre non è la moglie, ma la giovane direttrice della sua campagna elettorale, Sarah Knafo, 28 anni. Gossip? Forse, ma non solo. Tra i capisaldi della strategia politica di Zemmour c’è la famiglia, intesa come baluardo della Francia contro l’invasore islamico. Di Silvio Berlusconi, altro politico arrivato dal mondo della comunicazione e grande sostenitore - a parole - della famiglia, Roberto Benigni diceva che l’amava talmente tanto da averne due.

A chi l’accusa di doppia morale, Zemmour risponde che la stampa che lo attacca è un branco di cani al guinzaglio di Macron e dei poteri forti. Difficilmente diventerà presidente della Repubblica, ma di sicuro sa come fare rumore. La traduzione letterale della parola Zemmour è clacson.

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