All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciata in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà.
All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciata in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà. È un verdetto scolpito nella pietra – inattaccabile, riteniamo – quello con cui ieri a Bellinzona il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha assolto i quattro giornalisti del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna, che considerava diffamatori i loro articoli nei quali sollevavano anche interrogativi sull’organizzazione interna e sull’agire della struttura sanitaria privata in relazione al caso Rey (l’amputazione, per errore, di entrambi i seni a una paziente). I colleghi hanno impugnato i decreti d’accusa firmati dal pp Antonio Perugini, che aveva dato seguito alla querela della clinica sottocenerina, e hanno ottenuto ragione.
La sentenza appena emessa non riguarda però solo la nostra categoria. Riguarda tutti i cittadini. Che in democrazia hanno il sacrosanto diritto di essere informati su tutto ciò che attiene a temi di interesse pubblico – e la sanità è uno di questi – affinché possano farsi un’opinione per poi dibattere e decidere con cognizione di causa. I mass media, dopo aver verificato la veridicità di quanto appreso, hanno allora il dovere di riferire, ponendo pure quesiti e continuando a porli sino a quando non avranno ricevuto una risposta. Eloquenti le parole del pretore: «In casi di interesse pubblico la stampa deve informare». Deve. La stampa come il cane da guardia: il cane da guardia della democrazia. L’immagine non è nuova, ma non accade spesso di sentire un giudice affermare che «è meglio accettare che un cane da guardia abbai per niente, piuttosto che non abbai affatto» e non avverta così del pericolo. Il recentissimo verdetto è importante anche in prospettiva, se pensiamo per esempio alla vicenda Argo 1, un dossier politicamente scottante, tuttora aperto. È grazie al salutare ‘accanimento’ giornalistico se l’opinione pubblica ha saputo di alcuni episodi istituzionalmente non edificanti.
La libertà dei media è sancita dalla Costituzione federale. Ma i tentativi dell’autorità e dei cosiddetti poteri forti di anestetizzare l’informazione quando va contro i rispettivi interessi sono presenti anche nelle democrazie avanzate. Per picconare la libertà di espressione non è necessario imprigionare i giornalisti scomodi, come avviene nelle dittature: basta minacciare denunce o infliggere sanzioni pecuniarie, anche se sospese condizionalmente. Denunce e multe per intimorire il cronista, perché desista dall’indagare, dall’approfondire. Con una conseguenza nefasta per l’intera collettività: l’autocensura.
Insomma, la libertà di stampa non è scontata neppure in una società liberale e democratica. Benissimo ha fatto quindi il giudice Quadri a confermare un principio costituzionale, applicandolo – con solide argomentazioni – a un caso concreto. La sua sentenza, inoltre, ridà vigore e credibilità al giornalismo d’inchiesta, documentato. E non è cosa da poco nell’era della comunicazione sovente non verificata dei social.
Il valore del giornalismo d’inchiesta ieri è stato riconosciuto.