Molto di quello che sarà – e che pensiamo / temiamo possa succedere nelle prossime settimane – dipende ancora e sempre dai nostri comportamenti quotidiani
Il Covid ci sta abituando a un fatto per molti inedito e duro da gestire: ciò che è impossibile (o incredibile che succeda) diventa possibile.
Lo abbiamo già visto questa primavera: chi affermava che fosse impensabile chiudere tutto (ogni attività lavorativa e non solo) nel giro di pochi giorni si è dovuto ricredere. I picchi erano lì da vedere e non lasciavano altra scelta. E coloro che lo affermavano non erano semplici cittadini, ma rappresentanti di primo piano di associazioni professionali. Poi, dalla sera alla mattina, a cosa abbiamo assistito? Al cambio repentino di prospettiva, anche da parte di chi, alla testa di associazioni professionali si opponeva anche solo a scalare un paio di marce, pensando si trattasse soltanto di un’influenzetta. Certo, non siamo così sprovveduti da non capire come mai tali refrattari a misure forti si siano convinti, quasi improvvisamente, a ricredersi: ciò è avvenuto grazie al grosso lavoro, intessuto dietro le quinte, dal Dfe di Christian Vitta che ha saputo far incontrare associazioni professionali, sindacati e allacciare i giusti ponti con Berna, che si è poi detta disposta, non senza tensioni, a venire incontro finanziariamente al Ticino. Così, tranquillizzati (almeno in parte) gli imprenditori, è stato possibile che si attuasse – come detto – l’impossibile: fermare la macchina dell’economia e abbassare la maledetta curva.
Ora, giunto l’autunno, ci risiamo e non sappiamo come andrà a finire. Ci è stato detto che, se non ci comportiamo come dobbiamo (pulizia mani, tenere le distanze, indossare la mascherina al chiuso nei posti pubblici e luoghi comuni, annullare trasferte inutili ecc.), potrebbe presto tornare ad essere molto dura. Potremmo doverci avviare a nuovi blocchi di talune attività lavorative, seppure locali, sanciti per zone geografiche. E così ancora una volta, ciò che viene ora ritenuto improponibile – tutti avrete sentito la frase “non ci possiamo permettere un nuovo lockdown” – potrebbe diventare realtà. Anche se nessuno lo vuole, perché quando l’economia viene rallentata per ragioni sanitarie, ci si ritrova a dover ripartire da un gradino più basso, con miliardi pubblici in più spesi / bruciati, fallimenti a cascata e migliaia di disoccupati in più. Uno scenario da horror, insomma.
Non scordiamoci che in questo momento siamo privilegiati rispetto al resto del Paese, probabilmente perché, colpiti più frontalmente, a marzo abbiamo capito prima dei nostri amici confederati come ci si doveva e deve comportare. Costa fatica, ovvio, e sarebbe molto più facile prendere una pastiglietta o un vaccino. Ma, ahinoi, non ci sono (ancora). E questa seconda ondata, incombente, sta già creando in molti di noi disagi psicologici e danni economici. Tanti – siano essi datori di lavoro o cittadini lavoratori – stanno assumendo una posizione tendenzialmente attendista e influenzata da timore: della serie “vediamo se, cosa e dove l’economia si fermerà ancora”. Ma se ciò accadrà non lo sarà per puro caso, come se un asteroide impattasse contro il pianeta Terra. No, saranno infatti i nostri comportamenti a determinare lo scenario che sarà.
Non scordiamolo: molto di quello che sarà – e che pensiamo / temiamo possa succedere – dipende ancora e sempre da noi. Uno per tutti, tutti per uno, è il motto dell’Elvezia. Valido mai così tanto come oggi, annus horribilis 2020.